Il caso è ora nelle mani della magistratura, incaricata di definire le eventuali responsabilità in merito a questo presunto caso di malasanità.

L’ombra di un presunto caso di malasanità approda anche in Lombardia dove, in seguito all’interruzione della gravidanza, una donna viene operata per l’esportazione del feto morto che, a distanza di 24 ore è rinvenuto ancora nell’utero della paziente.
A fine maggio, una 38enne incinta residente nel quadrante occidentale della Lombardia si reca dalla sua ginecologa che, durante un controllo, scopre il cuore del feto di 12 settimane privo di battito. Alla triste scoperta, peraltro, si somma la necessità di una risposta immediata dal punto di vista medico, tradotta nella veloce rimozione del feto dall’utero, in modo tale da scongiurare possibili complicazioni. La donna, contatta allora la locale struttura ospedaliera che le fissa l’operazione di rimozione per la mattina seguente. L’intervento sembra andare per il verso giusto ma, a distanza di sole 24 ore, la donna inizia ad accusare dei malori. Tormentata da fitte incessanti all’addome, decide di cambiare nosocomio, raggiungendo una struttura della provincia di Milano. Quì i sanitari le diagnosticano un principio di setticemia, dovuto probabilmente al feto morto rimosso solo in parte durante l’intervento del giorno prima. La donna, a questo punto, viene sottoposta ad un secondo intervento, prima di sporgere denuncia alla locale procura.
Il caso è ora nelle mani della magistratura, incaricata di definire le eventuali responsabilità in merito a questo presunto caso di malasanità.

Malasanità: gravidanza interrotta, le lasciano il feto nell’utero