Un risarcimento danni per tumore mal gestito e l’ennesimo caso di malasanità.
2 milioni di euro ai familiari, una cifra che ha senz’altro fatto scalpore.
Si può parlare di malasanità quando una persona muore a causa di un un cancro alla prostata? Si può richiedere risarcimento danni per tumore mal gestito? La risposta è sì, qualora ci siano i presupposti, e una recente sentenza disposta dal Tribunale di Ravenna ce ne dà la prova.
Il giudice, infatti, ha predisposto che l’Asl paghi un risarcimento record di 2 milioni di euro alla famiglia di un paziente deceduto nel 1999 a causa, appunto, di un cancro alla prostata mal gestito.
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Come si è svolta la vicenda?
I fatti iniziarono nel 1995, quando a un paziente di 53 anni venne diagnosticato un tumore alla prostata, un carcinoma con alto grado di malignità. A quella prima diagnosi susseguì un intervento chirurgico, una resezione trans-uretrale presso il reparto di Urologia dell’ospedale di Ravenna, che apparentemente mostrò una risoluzione del cancro.
Tuttavia, proprio per l’alta aggressività del tumore, il rischio di recidiva andava considerato alto; l’uomo venne dimesso con il consiglio di sottoporsi a controlli medici periodici.
Ma l’anno seguente, quando l’uomo di sottopose all’esame delle urine, vennero evidenziate delle anomalie, confermate poi alla fine del 1996 quando il paziente effettuò il controllo di routine. Si iniziò a sospettare un inizio di recidiva.
A metà del 1997 gli esami non erano molto rassicuranti, e ad un occhio più attento e scrupoloso avrebbero dovuto destare delle preoccupazioni e far suonare dei campanelli d’allarme.
Proprio a partire da questo passaggio i familiari credono che si sia innescato il presupposto di un caso di malasanità, di leggerezza e di negligenza, attribuendo ai medici colpa ai medici di non aver fatto tutto il possibile per curare con efficacia il proprio congiunto, tant’è che poi la situazione degenerò in fretta. Non venne mai effettuato alcun accertamento più approfondito, nonostante i segnali, fino a quando, a metà del 1998 l’uomo venne ricoverato per un problema vascolare. In quell’occasione si scoprì che il tumore aveva ancora una volta attaccato i tessuti, ma ovviamente i tentativi di cura si rivelarono tardivi e inutili: non si poté impedire il fatale evolversi della malattia, e l’uomo purtroppo morì a gennaio del 1999.
La decisione della famiglia di chiedere un risarcimento danni per colpa medica
I familiari rimasero in silenzio per lunghi anni, a compiangere il proprio caro venuto a mancare per errore umano; in fondo, quando una persona cara ti viene strappata via in maniera così brutale, l’ultima cosa che pensi è rivolgerti a uno studio legale per avanzare richiesta di risarcimento danni. Ma i tempi di prescrizione entro i quali avanzare richiesta risarcitoria per danni da malasanità variano da 5 a 10 anni, come potrai leggere qui: Responsabilità medica e prescrizione: entro quando sporgere denuncia per malasanità?
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Così, una volta che la famiglia riuscì a rialzarsi in piedi, decise che era giunto il momento per provare a cercare giustizia. La moglie e i figli, nel 2005, iniziarono una vertenza nei confronti dell’ospedale di Ravenna. E sono proprio loro i destinatari del maxi-risarcimento, essendo che la legge ha riconosciuto e accolto la ragione delle loro pretese.
Le motivazioni dell’accusa
A motivazione della richiesta risarcitoria mossa nei confronti della struttura sanitaria vi è la dimostrazione che di sia verificata una gestione medica troppo approssimativa del post operatorio; inoltre il personale medico ha dimostrato grave negligenza nel non fornire al paziente una precisa terapia, che avesse come fine il ridurre al minimo la possibilità di andare incontro a una recidiva.
Sebbene la causa civile per danno da imperizia medica si sia avviata ben 6 anni dopo il verificarsi dei fatti, la sentenza ha stabilito il nesso causale tra il decesso del paziente e il modus operandi dei medici, imputando alla struttura ospedaliera la colpa di aver ritardato una possibile cura che magari avrebbe potuto evitare la morte della vittima.
La replica dell’ospedale
La struttura ospedaliera si è avvalsa del supporto di ben tre compagnie assicuratrici al fine di negare le responsabilità dei fatti in essere. Ma l’indagine medico-legale che dispose il tribunale confermò quanto dichiarato dall’accusa, ovvero che i dati in possesso dei medici, i risultati degli esami e tutti i segnali d’allarme manifestati dal paziente, dovevano spingere i medici ad agire in maniera più prudente.
La decisione del tribunale e la sentenza finale
Il tribunale di Ravenna inquadrò la situazione attribuendo un problema di responsabilità contrattuale alla struttura sanitaria: ne ha evidenziato non solo la negligenza, ma anche il grave ritardo nell’intraprendere azioni e cure utili al salvare la vita dell’uomo. La sentenza ha riconosciuto sia un risarcimento economico a ogni singolo familiare per il lutto affrontato, sia il risarcimento (riconosciuto sempre agli eredi) del danno che causò all’uomo una disabilità del 100%. Che vuol dire? Il paziente, godendo di lucidità mentale e rendendosi conto del fatto che da lì a poco sarebbe deceduto per via della negligenza medica subita, patì uno shock e un turbamento molto grave.